Luciana Melon: La corriera (2019)
Concorso Lapis Histriae 2019: finale
LUCIANA MELON
La corriera
Giovanni aspettava in piazza l'arrivo della corriera su cui viaggiava sua madre; era andata a Trieste a “tirar la pension de vedova de guèra”, quel denaro che le permetteva di mantenere la famiglia, o come era solita dire lei: ”Quell'anima santa, ci mantiene anche dopo morto.”
Era molto duro tirare a campare con i nuovi padroni: tutto quello che aveva anche vagamente sentore di italianità veniva disprezzato e svalutato, compreso il lavoro dei contadini italofoni ed i loro prodotti. La disgrazia di rimanere vedova a soli 32 anni con 3 figli piccoli aveva avuto questo unico risvolto positivo, anche se doloroso, della pensione che l'aiutava a sopravvivere: magra consolazione quando si rigirava nel grande letto matrimoniale, che occupava ora con i suoi figli per non rimanere da sola: e per non ricordare.
Aveva pensato varie volte, in verità, di andarsene dall'Istria; aveva tanti parenti in Italia ed in America che avrebbero potuto aiutarla a rifarsi una vita, ma lì aveva seppellito il suo amore, e soltanto il pensiero di andarsene, le straziava il cuore come se lo dovesse seppellire per la seconda volta. Giovanni sapeva che sua madre sarebbe passata in cimitero prima di ritornare a casa, e pensò di avviarsi anche lui giù per la chìa che conduceva al cimitero nuovo dove avevano seppellito suo padre, una decina di anni prima; ma poi fu attratto dalla figura di un'anziana che gli faceva ampi gesti di richiamo; stava un poco in disparte della piazza principale, addossata al muro dell'ultima casa del paese, proprio dove sostavano le corriere. Giovanni strizzò per un attimo gli occhi guardando quella figura scura, e riconobbe sua zia Tina; la lunga veste nera, il fazzoletto anch'esso nero a raccogliere una massa di capelli bianchi che sfuggivano a quella lugubre prigione in tante candide ciocche tutto intorno alla fronte. Le si avvicinò: ”Ohi zia, come, anche voi qua?”
”Corri, figlio mio, corri presto.”
“Ma che cosa state dicendo zia, perché dovrei correre?”
Zia Tina gli spiegò allora di aver sentito brutte voci in bottega e di non averci fatto caso pensando si trattasse di pettegolezzi di donne. Ma poi era uscita e si era diretta verso la piazza, ed allora aveva capito tutto: ed estratto il fazzoletto immacolato dalla tasca del vestito, cominciò a soffiarsi il naso e ad asciugarsi gli occhi bagnati dalla commozione. Giovanni ancora non capiva: ”Zia, volete per piacere spiegarvi meglio e dirmi che cosa avete sentito o visto?”
“Ma non vedi da solo che cosa sta succedendo in paese in questi giorni? Ma chi avrebbe mai pensato che una cosa simile potesse accadere qua, perfino tra di noi....”
E zia Tina gli fece notare un gruppo di persone che formava un crocicchio piuttosto numeroso, fermo, vicino al muro; gesticolavano parlando a bassa voce e, di tanto in tanto, uno di loro si dava delle manate sulle cosce ridendo sguaiatamente e gettando lo sguardo verso la strada maestra che conduceva al paese. Solo adesso, che la zia glielo aveva fatto osservare, Giovanni notò quelle persone riunite in un insolito gruppetto piuttosto consistente. Qualcuno stava un poco in disparte ed anzi, Giovanni si rammentò che Matìo lo aveva guardato di sottecchi mentre lui passeggiava su e giù per la piazza, aspettando la corriera. Per altro, ebbe l'impressione che lo stesse scrutando, titubante e sorpreso, ma poi gli aveva voltato le spalle proprio quando Giovanni arrivò alla giusta distanza per salutarsi. Istintivamente si girò per andare verso quel gruppo di paesani, presumibilmente ad informarsi se quanto aveva saputo corrispondeva alla verità, ma la zia lo trattenne per un braccio: ”Non andare, ti prego a mani giunte, lascia stare, picchieranno anche te. Corri piuttosto ad avvisare quelli della corriera, riferisci che cosa stanno facendo questi qua.” E Giovanni di rimando: “Ma che cosa dovrei dire, zia? Qua ci sono soltanto un paio di uomini ...”
“Che li aspettano per picchiarli, non vedi che hanno i bastoni e quell'altro, quell'assassino schifoso, lui ha indosso il soprabito, con questa temperatura. Ha sicuramente lo schioppo nascosto sotto l'ascella...”
Giovanni, schernendosi, le rispose poco convinto: ”Ma che cosa state dicendo, zia, ma dai...”
“Corri figlio mio, corri” insisteva l'anziana.
Giovanni sempre più sconcertato replicò: ”Ma zia, che cosa posso mai fare io? Da solo: guardate il gruppo in quanti sono loro!”
Non solo questa era la pura verità, ma egli aveva anche timore ad esporsi, seppure per una buona azione: lui aveva altri progetti per la testa in quel momento.
“Ma vuoi che picchino tua madre dopo che, disgraziata, va a Trieste ad incassare la pensione di tuo padre per mantenervi, da sola, povera vedova?” Ma vedendo che Giovanni tentennava, insensibile a quelle parole, aggiunse: “Non sarai mica un bastardo vigliacco?”
L'anziana non riusciva a capacitarsi che Giovanni rimanesse assorto, che non sapesse cosa fare, mentre lei aveva ben chiaro il da farsi: fermare la corriera e rivelare i piani dei titini. Anche Giovanni aveva ponderato questa ipotesi, ma sapeva anche che questo equivaleva ad auto-denunciarsi come traditore e più tardi quella gente sarebbe venuta a cercare lui, e per punirlo dell'aver fatto la spia, lo avrebbero picchiato o magari buttato in foiba. Avrebbe potuto andare a discutere con quella gente per tentare di farli desistere dai loro violenti intenti; però aveva partecipato qualche volta alle loro riunioni e si ricordava molto ma molto bene l'arroganza e la prepotenza delle loro parole e la violenza dei gesti. Quelle persone incutevano terrore soltanto a vederli, avevano sguardi arcigni carichi d'odio e di perfidia; però anche lasciar che questa gente picchiasse sua madre o peggio: ”Hanno detto che li picchieranno e butteranno giù per la chìa” stava ripetendo la vecchia zia, più a se stessa che a lui. Sentendo quelle parole Giovanni distolse lo sguardo dal drappello di persone che continuava a confabulare tra di loro, e si girò a fissarla esclamando: ”Chi vi ha riferito queste cose ?...”
“Le donne in bottega, stavano dicendo che aspettano anche loro la corriera per recuperare le cose che sarebbero state sequestrate ai viaggiatori e poi buttate via, quando sarebbero scesi tutti.” Giovanni continuava a fissare il gruppetto di titini con sguardo assente: il suo cervello stava vagliando tutte le possibilità di azione che aveva. La zia interpretò questo suo silenzio come meditabondo sul da farsi, e continuò insistente a raccontargli i fatti: ”E poi, feci finta di non farcela più a camminare e mi fermai proprio vicino a loro; quello alto, col basco, diceva che bisogna fare in modo che si ricordino per tutta la vita di questa giornata, picchiarli perché non dimentichino e non sbaglino di nuovo. Non aspettare figlio mio, corri giù per la strada maestra e tenta di fermare la corriera che non rovinino tanta brava gente.”
Giovanni continuava a fissare il gruppetto di compaesani: si accorse di non conoscerne un paio, ma era ancora incredulo che quelle persone che conosceva da sempre fossero capaci di azioni come quella che la zia gli stava raccontando. Avrebbe potuto affrontarli e dir loro che sbagliavano, ma aveva paura che si rivoltassero contro di lui; si percepiva il bisogno di sfogo, di violenza, di vendetta, magari soltanto contro la cattiva sorte personale, ma si intuiva che aspettavano soltanto l'occasione per sfogare la loro violenza contro qualcuno. Quando girò nuovamente la testa verso la zia, vide che non era più accanto a lui ma stava andando di buon passo sulla strada maestra, quella che conduceva al paese, aiutata dalla pendenza della strada, in discesa in quel tratto; il suo vestito nero quasi toccava per terra impedendo di vedere le scarpe e guardandola sembrava che la zia pattinasse silenziosa sull'asfalto come se fosse un laghetto ghiacciato.
Giovanni si mise le mani in tasca e guardò di sottecchi il gruppetto che adesso lanciava occhiate sempre più frequenti verso l'imbocco della strada. Con passo svogliato e sbirciando se fosse stato notato, si mise sui passi della zia: quando la raggiunse, questa lo guardò accigliata e lo apostrofò: ”Tua madre, era meglio se si fosse risposata. Così il patrigno ti avrebbe insegnato a comportarti da uomo. Asino, lasciare che bastonino tua madre; sparisci dalla mia vista, schifoso.”
Giovanni non si risentì per quanto detto dalla zia, ma soltanto la parola patrigno gli rimbombava nella testa: ”Non ci mancherebbe altro!” pensò. Fu quel pensiero, che la madre potesse risposarsi, che lo spronò ad accelerare il passo: giunto al bivio, notò alcune persone ferme presso la stazione, e si avvicinò.
“Che cosa fai qua?” chiese con fare amichevole anche se conosceva soltanto di vista uno dei cinque; “Aspettiamo la corriera, dirò a mia moglie di venire a casa con me” fu la risposta.
Giovanni non controbatté, ma immediatamente gli tornarono alla mente le parole della zia. Si girò verso la vecchia che faticosamente stava giungendo; fece qualche passo verso di lei, non perché volesse tornare indietro ma perché in realtà non sapeva proprio che cosa fare. Zia Tina però, come vide che si avvicinava a lei invece di correre verso il paese più prossimo, si chinò, raccolse una pietra e con tutte le sue vegliarde forze gliela scagliò contro.
“Brutta bestia, vuoi andare o no? Se ti prendo te le dò io, a te...”
Le ultime parole sfumarono perché Giovanni, non appena vide che l'anziana si chinava a raccogliere un sasso, si mise a correre nella direzione opposta, cosa che suscitò l'immediata ilarità degli altri paesani. Si girava ogni tanto a guardarla, ma poi la strada seguiva un paio di curve e la perse di vista: e mentre correva, la sua mente vagava alla ricerca di quali parole avrebbe usato per fermare la corriera: cosa poteva dire? Non di certo la verità, che i titini aspettavano le persone che tornavano da Trieste per picchiarle, o peggio. Se lo avesse fatto sarebbe stato costretto ad andarsene anche lui dall'Istria, e subito anche, a lasciare la sua famiglia in balìa delle vendette e delle angherie che ne sarebbero seguite. “Se li avverto, mi impicco con le mie stesse mani; se non dico niente sono un vigliacco da non aver più il coraggio di guardarmi allo specchio. Altro che gnagna Tina, lei è coraggiosa anche se anziana, non ha paura perché a lei non farebbero niente, ma a me si.”
Ora l'asfalto della strada correva dritto tra due boschetti e se ne vedeva un bel tratto; gli mancava il fiato e rallentò un poco, piegandosi sulle ginocchia. Sentiva dolore al petto e gli faceva male il fianco; aveva esagerato, ma tra la zia che lo prendeva a sassate e la paura che i conoscenti gli facessero domande scomode, Giovanni aveva messo tutta la propria forza nelle gambe, per scappare lontano. Rallentò la corsa e vide sulla sinistra un trożo che conosceva molto bene: era una scorciatoia per andare a casa sua. Ebbe l'impulso di buttarcisi di corsa prima che qualcuno lo vedesse, ma proprio quando aveva già fatto qualche passo addentrandosi per quel sentiero, sentì il rumore della corriera che sopraggiungeva. Si fermò di botto e si rese conto che lo avrebbero comunque visto, anche se si fosse messo a correre; non c'era né una siepe né un albero dietro cui nascondersi.
La corriera intanto stava sopraggiungendo, con il suo carico di donnette che ritornavano da Trieste; era tutto un contarse e dirse di quello che era successo, di che cosa avevano comperato, di quanto avevano speso, dei parenti che erano andate a trovare e tutti quei pettegolezzi che rendono loquaci ed allegre le donne.
“Hai trovato lo zucchero da qualche parte? A me mancano gli elastici, ma so già dove andrò a comperarli la prossima volta che vado a Trieste, mi ha detto Anita......”
“E filo da cucire, l'hai trovato?”
“Mia cugina mi ha portato dei limoni, guarda che meraviglia!”
C'era anche qualche viaggiatore maschio che faceva parte della comitiva, ma se ne stavano zitti e tranquilli, si trattava per lo più di persone anziane; andavano a Trieste per acquistare attrezzi per l'agricoltura e sementi. L'autista ad un tratto, notò una figura maschile che sopraggiungeva da una stradina secondaria, un trożo che sbucava sulla destra della carreggiata, e rallentò: era poco più di un ragazzo e si stava sbracciando per farsi notare da lui. In realtà la prima a scorgerlo fu una passeggera che lo indicò alle altre: ”Guarda là questo scemo, ma non può andare a piedi fino al paese? Deve spendere i soldi per la corriera, per fare due chilometri!”
Non appena la corriera rallentò, una donna seduta nei primi sedili si sollevò leggermente e gridò: “Maria, è il tuo Giovanni!”
“Oh, mamma mia, cosa sarà successo?” rispose la donna riponendo il lumino che aveva acquistato a Trieste e che si apprestava a portare in cimitero.
“Sembra impazzito, viene da casa tua, ha preso il sentierino...”
Maria a quelle parole si sporse tra i sedili, verso i finestrini e lo vide anche lei.
Giovanni stava ritto, discosto dal bordo della strada, proprio all'imbocco del sentiero di casa sua: Maria, svelta, prese la sua borsa e dirigendosi verso l'autista gridò: ”Fermi la corriera per favore, è sicuramente accaduta una disgrazia, sennò non sarebbero venuti a chiamarmi. Oh mamma mia chissà cos'è successo!”
E così dicendo giunse le mani davanti al petto. Aveva già le lacrime agli occhi, mentre ferma davanti agli scalini della corriera, di fianco all'autista, mormorava sommessamente: “Majko bożja, molim te, Majko bożja....”
La donna che per prima aveva riconosciuto Giovanni disse alla vicina, a mezza voce ma in modo che tutti sentissero: ”Povera anima, ha perso il marito, con tre figli, sola con il suocero vedovo anche lui. E adesso chi lo sa che cosa è successo di grave per venire a chiamarla qui, in modo che arrivi a casa prima che passando dal paese. Povera donna!”
Giovanni intanto guardava la corriera fermarsi e la sua angoscia cresceva: sentiva un groppo in gola e tanta voglia di piangere; cosa avrebbe detto, quale scusa avrebbe trovato per far scendere la madre? Sapeva che ogni volta che andava a Trieste, la madre poi passava per il cimitero dal suo rimpianto marito rubatole così giovane, e lui non sapeva cosa dire per distoglierla dal suo intento. Poi la vide che stava già sui gradini, pronta a scendere e si rassicurò: “Grazie Dio, Madonna Vergine benedetta, mi ha visto e scende da sola.”
La corriera si fermò a qualche metro da lui, dove c'era una rientranza di terra battuta; ma lui non si avvicinò ancora. Era frastornato, gli faceva male al cuore pensare al destino di quelle persone, ma che cosa poteva dire a quella gente senza compromettere se stesso? Lui doveva terminare gli studi, farsi una famiglia, era stufo di questi tira e molla tra Italiani e Slavi, a chi era migliore, a chi aveva vinto, e a chi andava a messa e chi dal partito..... L'autista della corriera intanto era sceso ed aveva aperto il portellone del bagagliaio, mettendo in bella mostra tutto quello che portava: Maria prese la sua borsa nera dai manici consunti, piena di roba ed una più piccola, una borsa a rete attraverso la quale si vedevano i scartossi degli alimenti che aveva comperato.
Giovanni non andò ad aiutarla, come pietrificato, la fissava pensando sempre alle parole da dire, alla giustificazione da dare: si ricordò di suo nonno che gli raccomandava sempre di non parlare, di non dire niente....e lentamente si avvicinò alla corriera. La donna che per prima lo aveva riconosciuto, si sporse dalla porta della corriera e gli disse curiosa: ”Ninèto, che cosa è successo? Vi serve aiuto?”
Lui la guardò e riconobbe in lei la mamma di una sua compagna di classe, una ragazza per la quale provava simpatia: ”Si, signora Ines, venga anche lei così aiuterà mia mamma: poi la riaccompagnerò io a casa sua.”
Ines non se lo fece ripetere due volte, più per bramosia di sapere la novità che per generosità o inclinazione ad aiutare il prossimo. Lei aveva soltanto una piccola borsa che prese da sotto il sedile e scese proprio nel momento in cui l'autista richiudeva il portellone del bagagliaio: egli guardò per qualche istante le due donne ed il ragazzo, ma vedendo che nessuno gli dava spiegazioni, risalì in vettura e ripartì facendo appena un cenno di saluto con la mano.
“Figlio mio, che cosa succede?”
Giovanni fissava la madre ma non sapeva se dire la verità davanti ad estranei o stare zitto: rivedeva tutte quelle donne che chiacchieravano spensierate e che tra pochi minuti sarebbero state picchiate, forse tagliati i capelli forse....ma lui che cosa poteva farci? Lui non era Padreterno, non poteva fermare il mondo. Entrambe le donne lo fissavano con sguardo interrogativo, quando da lontano videro arrivare di corsa, si fa per dire, la vecchia zia. Si era messa a tracolla la borsa di stoffa per avere le braccia libere per aiutarsi nella corsa; quando fu ad una decina di metri dal drappello, cominciò ad agitare i pugni verso di loro, gridando frasi smezzate, per il gran fiatone. Si sentiva soltanto: ”Bastardo, bastardo schifoso, le rovineranno per sempre...”
Giovanni si girò verso la madre e le disse: ”Mamma, dobbiamo andare subito a casa, hanno bisogno di te. Zia Tina conosce la strada, ci verrà da sola.” Le tolse di mano la borsa a rete, e presala per un gomito, la spinse giù per il sentiero che portava a casa loro: la donna che era con loro non proferì parola e si accodò, sbirciando il ragazzo e tentando di cogliere qualche notizia dal suo sguardo.
La vecchia zia era intanto giunta in prossimità dell'imbocco del sentiero e si sedette su di un paracarro. Piegata, con le mani sulle ginocchia ed ansimando, continuava ad inveire agitando il pugno contro “quèle canàie” ed a ripetere, quasi una nenia: ”Le rovineranno, brutto bastardo, perché non avvisarli, le rovineranno...”
La madre di Giovanni si fermò dopo pochi passi e gli disse di andare a vedere come stava la zia, e di aiutarla, che era una persona anziana; Ines a qualche punto le sussurrò: ”Signora Maria, se lei ha già zia Tina ad aiutarla, io allora andrei dritta a casa mia perché è già tardi. Se è successo qualcosa di grave, allora mi mandi a chiamare senza indugio.”
“Grazie” rispose la madre “ ma vede, non vuol dirmi niente..”
” Addio.” rispose Ines imboccando la strada per casa sua.
Giovanni quindi ritornò lentamente sui suoi passi, più per riflettere che per obbedire alla madre. Non aveva voglia di sentire le sgridate della zia, ma d'altro canto non poteva fare altro che affrontarla e giustificare il suo operato. Non appena si fu avvicinato, gnagna Tina lo apostrofò:
”Io ho fatto cenno alla corriera di fermarsi, ma l'autista ha tirato dritto, non si è fermato: se ci fossi stato tu, che sei uomo, si sarebbe sicuramente fermato, eccome se si sarebbe fermato. Tu dovevi....”
”Oooh zia,” la interruppe Giovanni ”se non ho detto niente avrò pur le mie ragioni, non credete? Adesso basta, andiamo a casa che mamma vi aspetta.”
La vecchia fu talmente sorpresa da quella risposta così stizzita che non reagì e si incamminò per il sentiero ripromettendosi di ritornare sull'argomento quanto prima e rimandando i rimbrotti che aveva sulla punta della lingua. Da lontano veniva il rumore della corriera che affrontava la salita che portava al paese, ed entrambi volsero istintivamente lo sguardo in quella direzione: nessuno dei due proferì parola. Soltanto l'anziana ogni tanto giungeva le mani e poi torcendosele si lamentava: ”Gente mia, cosa succede qua, senza Dio... gente senza cultura e senza Dio … tra di noi, gente mia, chissà che cosa succederà domani. Dobbiamo aver paura di svegliarci la mattina....”
Giunti a casa trovarono la madre che già aveva preparato la tavola con pane bianco, mortadella e limonata, tutto portato da Trieste. Era contenta, soddisfatta della sua giornata; da quando era rimasta sola e con quella gente che ora comandava a casa sua, viveva alla giornata ringraziando Dio di quello che le era rimasto: i suoi figli, la sua casa, la sua fede.
Gnagna Tina aveva sbollito la sua ira nella camminata fino a casa, ed ora guardava di sottecchi Giovanni aspettando un suo segnale per sfogarsi e raccontare quanto era successo. Giovanni però evitava di guardarle negli occhi, e continuava a pensare a quelle donne che venivano, forse in quello stesso istante, massacrate di botte. Non si sentiva in colpa per non aver avvisato l'autista, soltanto era triste perché quel fatto era accaduto proprio a lui: avrebbe voluto non sapere nulla, che la zia non lo avesse coinvolto in quella penosa faccenda. Lui non era mai stato coraggioso; da quando suo padre era morto, gli avevano sempre raccomandato di non esporsi, di evitare la politica, le riunioni.....e lui lo aveva sempre fatto; da adolescente qual'era non aveva capito che quell'insegnamento era dettato dalla paura di perderlo e non come norma di vita, di comportamento.
Si sedettero tutti al desco, si fecero il segno della croce e mentre la madre raccontava quello che aveva visto a Trieste, finalmente Giovanni e gnagna Tina si guardarono in faccia. Uno sguardo lungo, freddo quello della zia, incerto ed implorante quello di Giovanni. Si versarono un bicchiere di limonata, e fecero tintinnare i bicchieri in un brindisi alquanto inconsueto: in quell'esatto istante, Giovanni sentì un nodo in gola ed una impellente voglia di piangere. Fingendo che un boccone gli fosse andato di traverso, tossendo uscì fuori, sulla rudìna e guardò nel buio verso il paese: regnava il silenzio più assoluto. Pensò che forse non era successo nulla, che la vecchia gnagna aveva sicuramente frainteso le parole.
”E poi” pensò “che cosa avrei potuto fare io, da solo, contro tutta 'sta gente?”