Marzi, Federica: Frammenti dal caos (2022)
FORUM TOMIZZA 2022
CONVEGNO CAOS KAIROS
COMUNITÀ DEGLI ITALIANI DI UMAGO "FULVIO TOMIZZA"
Federica Marzi
Frammenti dal caos
È un vero piacere poter essere qui oggi e ringrazio di cuore per il bellissimo invito. È un vero piacere poter incontrare finalmente in presenza amiche e amici che, per due anni, vuoi la pandemia, vuoi le svariate misure di contenimento della stessa, hanno tenuto distanti, ma non certo divisi.
È un piacere poter tornare nei luoghi del Forum Tomizza, che per me è sempre un punto di osservazione strategico, dal quale ripensare in modo condiviso geografie complesse e le identità plurali che in esse si danno a vedere, e nodi, dilemmi, drammi ma anche punti di snodo della contemporaneità. Un luogo in cui sono possibili e liberi gli sconfinamenti fra pensieri, punti di vista, lingue e territorialità.
Quest’anno, lasciatemelo dire, il nostro compito di riflettere, di ragionare sul caos generato da due anni e mezzo di pandemia e da una nuova guerra in Europa appare davvero immenso, se non irraggiungibile. È difficile assistere all’insorgere di un cataclisma e cercare di esserne al contempo osservatori critici senza farsi sopraffare dagli eventi, dall’angoscia, dalle parole che sembrano capitolare sull’orlo del baratro o venir incalzate - ma chissà se nella direzione giusta - da un tempo dell’emergenza.
Se proviamo a guardare indietro nei due lunghi e difficili anni che abbiamo attraversato, ho la sensazione che molte nozioni di tempo ci abbiano sfiorato, se non investito. Per un lungo tempo, è stato un tempo di quarantena, il corso dei giorni ne è stato completamente stravolto. Eppure, almeno per un certo periodo, è sembrata emergere anche l’idea di un tempo sospeso, di cui poter fare ancora buon uso. ‘Faccia attenzione, egregio Presidente, agli effetti di questo tempo’, ammoniva la scrittrice francese Annie Ernaux al presidente Emmanuel Macron in una sua famosa lettera di fine marzo 2020. “Questo (ndr.) è un tempo propizio per rimettere le cose in discussione. Un tempo per desiderare un mondo nuovo”[1].
Non so se questo tempo sospeso, emerso da un indicibile caos, potesse anche solo avvicinarsi alla nozione di kairos – tempo mediano, occasione o ‘Jetzt-Zeit’, il tempo-di-ora, come l’ha voluto declinare il filosofo ebreo-tedesco Walter Benjamin nella sua Tesi di filosofia della storia. Un tempo di interruzione al procedere rettilineo, omogeneo e vuoto della storia, un momento schizzato fuori dal continuum della storia, una chance rivoluzionaria nella lotta per il passato oppresso[2].
Sia come sia, nel momento del più duro lockdown, con la realtà della morte o con il concetto di morte divenuti onnipresenti nelle nostre vite, in alcuni Paesi o per alcune cerchie di persone all’interno di questi Paesi, sembrava essere arrivato il momento di riflettere, immaginare e agire. Ecco che allora la pandemia era stata analizzata senza veli come lo “specchio letale della globalizzazione”[3] e di altre viralità: del potere politico, delle tecnologie, del denaro[4]. Ma anche come uno specchio deformante del mito della crescita infinita e inarrestabile, in spregio alle risorse limitate del pianeta, appartenenti a tutti.
Questo era parso anche come un tempo in cui avremmo potuto rimettere le cose in discussione e cambiarle, e per esempio entrare in una quanto mai urgente transizione ecologica, mettere in pratica degli stili di vita più sostenibili o metterci al lavoro per abbattere le disuguaglianze sociali, dopo aver capito che coloro che spesso sono stati considerati gli ultimi stavano in realtà sostenendo la vita materiale di tutti – chi svuotava i cassonetti, chi batteva gli scontrini alle casse, chi faceva le consegne a domicilio. Era inoltre questo il momento per investire seriamente in sanità, istruzione e cultura, settori depauperati con anni di tagli scriteriati, eppure in prima linea nell’emergenza o percepiti di colpo come cruciali.
Questo poteva, insomma, essere un tempo in cui prepararci per essere pronti a fronteggiare una nuova era delle pandemie.
A più di due anni dal diffondersi del Coronavirus nel mondo, quel tempo sospeso si è incartato o incanalato da qualche altra parte per tornare a essere tempo cronologico e, nuovamente, tempo di accelerazione. Tempo di nuove emergenze e, apparentemente, fine di un tempo utile a nostra disposizione - ‘la fine della pace’, così l’autorevole rivista italiana Limes ha intitolato in modo volutamente paradossale il suo terzo numero[5]. La fine della pace, che segna l’inizio di un altro secolo.
Ma di quale pace stiamo parlando? Della fine della tregua della Guerra fredda con il susseguirsi di una nuova guerra proprio qui da noi, nell’ex Jugoslavia, nel cuore dell’Europa? Seguita da nuove guerre collaterali, di esportazione della democrazia o di interventi bellici umanitari, di secessione o di annessione, che forse non hanno fatto tremare abbastanza i confini dell’Europa, permettendoci così di dare per scontata una categoria in realtà già fortemente in crisi come quella della pace?
Sin dai primi mesi dello scoppio della pandemia, è circolata in vari Paesi una narrazione, anche istituzionale, che equiparava la crisi sanitaria a una guerra. Benché questa retorica si sia presto esaurita o sia stata messa pesantemente in discussione, è pur vero che per molto tempo siamo stati abituati a un linguaggio quotidiano di guerra, per esempio con i bollettini sul numero di positivi, morti, ricoverati o guariti, rimpiazzati ora dal numero delle vittime civili e dei caduti in battaglia in Ucraina, dei profughi o degli asserragliati, dei corpi gettati lungo i bordi delle strade o nelle fosse comuni.
E, se quella al Covid non era una guerra, ci siamo ciononostante abituati a un utilizzo di tecniche e strumenti propri dello stato di emergenza e di risposte più o meno militarizzate per contenere la pandemia, nonché di narrazioni di battaglie condotte con mascherine, distanziamento sociale, divieti, coprifuochi, isolamenti, quarantene, dipartimenti di rianimazione, hub per la somministrazione di massa dei vaccini e pass per poter accedere a ogni servizio, per un certo periodo anche primario. Non sto qui mettendo in discussione la reale utilità o la necessità di simili provvedimenti, intesi come temporanei e propri della gestione di un’emergenza di massa. Mi sto però chiedendo quante e quali di queste tecniche di governo emergenziali si siano insediate nella gestione ordinaria delle società, o quanto abbiano plasmato - forse acuito, forse anestetizzato - il nostro modo di percepire l’emergenza.
A partire dal 24 febbraio del 2022, la pandemia è scomparsa dal discorso pubblico pur non essendo stata né superata, né sconfitta, per lasciare posto a un nuovo evento di portata catastrofica. L’uno si collega all’altro in una sottile, macabra linea di continuità (quanto meno temporale). L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha mostrato le sue prime conseguenze: la certezza della fine della pace, l’isterismo militaristico, la cobelligeranza a distanza nella guerra alla Russia da parte di molti Paesi, fra cui l’Italia; la presenza di milioni di nuovi profughi in Europa, ai quali è dovuta un’accoglienza decorosa; il costituirsi di nuovi ordini bipolari – si vedrà se fra Nato e Russia, Washington e Mosca, forse fra un’Europa non ancora unita (con alcuni Paesi neutrali, altri usciti, altri mai ammessi a farvi parte) e la Russia. Con ancora molti punti interrogativi su quali saranno i nuovi confini dell’Europa, sul ruolo della Cina, sull'approvvigionamento delle risorse energetiche e alimentari, sulla prosecuzione dello stato di emergenza. E, naturalmente, con “impregiudicato il destino delle vittime principali”: le ucraine e gli ucraini[6].
Il tempo sembra accelerare, precipitare, mentre il tempo sospeso, in cui poter analizzare, capire e soprattutto desiderare, immaginare e ricreare un mondo pacificato, sembra scaduto.
Ho provato allora a cercare tracce significative di pensieri di pace in tempi di guerra, interrogandomi su quanto l’arte, la cultura e la letteratura possano essere in grado di proporre narrazioni alternative, capaci di indicare dei percorsi che portino fuori dal caos.
Nell’agosto del 1940, durante un raid aereo, dall’oscurità della sua camera da letto, la scrittrice inglese Virginia Woolf si interrogava sul ‘pensiero freddo e coerente della pace’ - così lo definì nello scritto Pensieri di pace durante un’incursione aerea[7]. Woolf rifletteva innanzi tutto sulle radici patriarcali della guerra. Immaginò che a fermare definitivamente le armi potesse essere solo un sovvertimento radicale degli ordini simbolici e culturali che facevano apparire logica e auspicabile la guerra a un giovane pilota inglese di sesso maschile. Ed esortava a non rinunciare all’esercizio di un pensiero privato, senza timore che ciò potesse sembrare inutile, futile o marginale: “Combattere con la mente significa pensare contro la corrente, e non a favore. La corrente scorre veloce e violenta. Straripa a parole dagli altoparlanti e dai politici”[8].
Non tanto lontano da questo solco di pensiero è stato, a mio avviso, lo scrittore istriano Fulvio Tomizza, al quale questo Forum è dedicato. In particolare nei suoi saggi, raccolti nel volume Alle spalle di Trieste, anche lui rifletteva sulle radici della guerra, nazionalistiche ed etniche. In particolare, evidenziava la necessità di sovvertire le dicotomie e i bipolarismi che avevano contrapposto il mondo veneto a quello slavo nella sua terra d’origine, l’Italia alla Jugoslavia nell’immediato secondo dopoguerra, l’Europa dell’Ovest all’Europa dell’Est durante la transizione degli anni Novanta.
Tomizza mise la propria odissea personale di profugo istriano e poi di scrittore italiano di frontiera al servizio di un altro pensiero e di un’altra azione umana e politica. E individuò i luoghi e i tempi mediani come una possibile fuoriuscita dal caos. Con il suo celebre ‘Mi identifico con la frontiera’ definì una propria via di riscatto e chiamò tutto ciò un ‘indirizzo di lavoro e di vita’ così riassunto: ‘io non avrei fatto altro che cercare di sciogliere quel ‘contrasto irriducibile’, rendere attuabile ‘l’impossibile riconciliazione’. Prima di tutto dentro me stesso, per non dover più scegliere tra le diverse e magari opposte componenti di sangue, di cultura, di mentalità, ma tentando piuttosto di accordarle, riconoscendole proprie di un uomo di frontiera”[9].
Ebbene, non smettere l’esercizio del pensiero critico privato e collettivo, non smettere di tentare indirizzi di lavoro e di vita diversi, non esitare a mettere a nudo le logiche belliche e di emergenza della società del controllo (politico, tecnologico e finanziario) cercando con tutte le nostre forze di andare fino alla radice dei problemi, per immaginare e praticare la pace in modo coerente e soprattutto vincolante, senza rinunciare al nostro reciproco impegno di tutti i giorni: è questo l’arco che, per concludere, mi sento di tracciare in modo trasversale a tutte queste mie note frammentarie, con il il desiderio, se possibile, che possa essere anche un concreto auspicio da condividere con tutte e tutti voi.
[1]A. Eranaux, Lettera aperta a Macron, 30.03. 2020, trad. it. di L. Flabbi, in https://www.lormaeditore.it/news/124/annie-ernaux-lettera-aperta-a-emmanuel-macron (20.05.2022)
[2]W. Benjamin, Über den Begriff der Geschichte, in Id., Gesammelte Schriften, Frankfurt a.m., Suhrkamp, 1980, vol. I-2, pp. 691-704 [trad. it. di R. Solmi, Angelus Novus. Saggi e frammenti, Torino, Einaudi, (1962) 1995, pp. 75-86].
[3]F. Snowden, «“Questa pandemia è lo specchio letale della globalizzazione”», il manifesto, 09.04.202, p. 16.
[4]D. Duclos, «Viralità e isolamento», Le Monde diplomatique il manifesto, apr. 2020, p. 2.
[5]«La fine della pace», limes. Rivista italiana di geopolitica, 3-2022.
[6]Si veda per tutta questa parte ibid. in generale e soprattutto «L’ultima parola ai popoli muti», in ibid., pp. 7-32.
[7]V. Woolf, Thoughts on Peace in an Air Raid, in ead. Collected Essays, Hogarth Press, 1967 [trad.it. di L. Rampello, Pensieri di pace durante un’incursione aerea, in Voltando pagina. Saggi 1940-1941, Milano, Il Saggiatore 2011].
[8]Ead., qui nella traduzione di N. Fusini, in http://effimera.org/pensieri-di-pace-durante-unincursione-aerea-di-virginia-woolf/ (20.05.2022)
[9]F. Tomizza, Alle spalle di Trieste, Milano, Bompiani, (1995) 2009, p. 143.